Linea d’urto

I paraurti delle Volvo

Uno degli elementi più funzionali e caratteristici della carrozzeria ha conosciuto una singolare evoluzione. Tra lame, scudi ed elementi ad assorbimento

Come tutte le auto della sua epoca, anche la prima Volvo, la ÖV4 del 1927 (qui con carrozzeria torpedo) non ha i paraurti.

La struttura stessa della vettura non concederebbe in effetti punti di ancoraggio. Ma, soprattutto, non ce ne sarebbe alcun bisogno, specie davanti: l’elemento più sporgente di tutta la struttura sono infatti le ruote.

E considerando che i fari sono relativamente arretrati e ben “affogati” tra parafanghi e radiatore, non si sente davvero il bisogno di un bordo supplementare per difendere le lamiere dell’auto. Infine, il modesto traffico del tempo rende l’eventualità di piccoli urti, specie quelli nelle manovre di parcheggio, veramente poco probabili.



Le Volvo della serie PV53 - PV56 (1938-1945) hanno una carrozzeria aerodinamica, forme dolcemente raccordate e frontale spartivento alla moda americana.

Il loro paraurti è una classica lama d’acciaio utile a decorare la carrozzeria con la brillantezza della sua cromatura e a preservarla dagli urti di minore impatto. È realizzato in due metà (più spesse verso la parte mediana che ai lati) congiunte centralmente da una fascia: è più facile ed economico da riparare in quanto si può intervenire (o sostituire) solo la porzione eventualmente interessata da un danno.

E riesce anche più agevole lo stoccaggio del ricambio in magazzino.



Volvo Experimental Safety Car: questo significa la sigla VESC, che identifica il prototipo-laboratorio probabilmente più celebre tra i moltissimi realizzati nel corso degli anni dall’azienda.

Presentata nel 1972, la VESC anticipò molte delle soluzioni di stile che avrebbero debuttato in produzione, due anni più tardi, sulla Serie 200. A iniziare dai paraurti ad assorbimento di energia montati, come il disegno evidenzia chiaramente, su supporti elastici ammortizzanti.

Molto sporgenti, questi elementi erano in grado di sostenere senza alcuna conseguenza impatti sino a una velocità di 16 km/h: non solo piccole lesioni da parcheggio, ma anche danni più importanti in ambito urbano.

La Serie 200 che segue nel 1974 (in questa immagine, una station wagon Volvo 245 DL) integra gran parte delle innovazioni di sicurezza della VESC.

I suoi massicci paraurti fanno scalpore, al loro apparire, perché nessuna automobile al mondo ha sino ad allora osato tanto. Oltre a essere estremamente protettivi, con la loro forma sporgente e l’abbondante impiego di plastica riescono anche largamente decorativi: caratterizzano la vettura dandole un aspetto personale.

Simili, ma ancora più robusti, a quelli montati a partire dal 1973 sulla precedente Serie 100, possono superare indenni urti sino a 5 km/h.



Nel 1976 la Volvo entra, con la Serie 300, nel promettente mercato delle compatte europee.

Lo fa con un modello che si stacca nettamente dalle soluzioni più correntemente adottate dal resto della produzione europea in questo combattutissimo segmento che vale un quarto del mercato continentale.

La Volvo 343 (e, a partire dal 1979, la Volvo 345, cioè la sua variante a cinque porte, qui rappresentata) è molto diversa - anche esteticamente - dai modelli della Serie 200 eppure ne mantiene una caratteristica peculiare: i grossi paraurti in materiale plastico morbido ad assorbimento parziale di energia: un’autentica novità, tra le medie del periodo.



Passano vent’anni e molte cose cambiano, nello stile delle Volvo. Il paraurti, che pure conserva le sue funzioni di protezione passiva dagli urti di minore entità, inizia a integrarsi maggiormente nelle forme della carrozzeria.

Come succede in questa Volvo C70 Coupé (modello lanciato nel 1996): il paracolpi fuoriesce ancora abbondantemente dal profilo delle lamiere — anzi, lo fa con la stessa sporgenza che aveva sulla Serie 200 — ma è verniciato con la stessa colorazione del resto della vettura, il che lo fa sembrare un elemento, per così dire, più naturale, maggiormente integrato.

La pulizia stilistica è la regola numero uno: sono anche scomparse le modanature in gomma.

Come tutti gli altri modelli di oggi, anche la Volvo XC60 non ha più un paraurti propriamente detto.

Lame, rostri, parti pronunciate sono un ricordo del passato perché le forme estremamente elastiche con cui sono realizzate le porzioni terminali della carrozzeria assolvono in maniera naturale alla loro funzione protettiva, senza la necessità di elementi riportati. In questo modo il frontale (come pure la coda) hanno un aspetto più pulito e dinamico.

E a proposito di passato, un cerchio in fondo si chiude: anche la prima di tutte le Volvo, quasi un secolo fa, non aveva — come abbiamo visto — il paraurti. Ma ovviamente una Volvo XC60 è enormemente più protettiva di una Volvo ÖV4.



Volvo XC60 Recharge

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