Uscita di sicurezza

I crash test Volvo

Backstage tra le attività che ogni giorno rendono, da sempre, una Volvo un’auto protettiva. Tra pole test, piste mobili, incidenti simulati e vetture scaraventate da 30 metri

L’attitudine a chiedere alle proprie vetture prove non comuni è nel DNA Volvo sin dalle origini.

Questa torpedo con due ruote a terra e due su un muretto è infatti una Volvo ÖV4 del 1927, la prima di tutte. Questo singolare roll over d’altri tempi organizzato per verificare l’equilibrio della vettura in condizioni assai precarie serve a dare attuazione al pensiero di Assar Gabrielsson e Gustaf Larson, i fondatori del marchio: “Le automobili sono guidate da persone: per questo il principio è che alla base della costruzione di ogni Volvo è, e dovrà rimanere, la sicurezza”.



Il crash test frontale contro una barriera fissa è, da sempre, uno dei grandi classici delle prove di sicurezza Volvo.

Questa immagine è particolarmente significativa perché mostra una Volvo 245, modello nato nel 1974, sul quale – a seguito di un impatto contro un muro a 56 km/h — si è aperto l’airbag. E il manichino che simula la presenza del conducente è infatti rimasto in una posizione naturale con la testa e le spalle. Il dettaglio interessante (che poi dettaglio non è) è che a quel tempo gli airbag erano di là da venire.

Ma alla Volvo si trovavano già in fase di studio: sin dal 1972 vennero infatti montati sul prototipo VESC.



Ogni giorno una macchina nuova di zecca viene distrutta apposta per aumentare la sicurezza di chi sulle Volvo ci viaggerà.

Succede al Safety Center Volvo di Torslanda, a poca distanza da Göteborg. È qui che dal 2000 vengono svolte le prove di sicurezza. Il laboratorio comprende due piste di 108 e 154 metri. La più corta – che pure pesa 850 tonnellate — è mobile, grazie ai cuscinetti idraulici sui quali scorre.

Può essere posizionata in modo da creare angoli compresi tra 0 e 90 gradi, con una velocità d’impatto sino a 120 km/h. Gli scontri avvengono su una lastra trasparente, per controllare anche quel che avviene nel fondo scocca delle vetture coinvolte.

Loro sono Bob e Bob Junior: due tra le centinaia di manichini che svolgono un ruolo determinante, insieme ai tester e agli ingegneri, per aumentare la sicurezza delle Volvo.

In questo caso - siamo nel 2009 - stanno collaborando alla definizione del sistema di riconoscimento dei pedoni da parte della Volvo XC60 che si trova sulla loro traiettoria.

Se il conducente non reagisce al segnale sonoro che lo avverte del pericolo di un’imminente collisione, la vettura attiva autonomamente i freni. Analoghi sistemi sono stati in seguito sviluppati anche per prevenire l’investimento di ciclisti e sono, oggi, parte integrante del pacchetto City Safety.



Questo è il classico pole test, o test del palo: una barriera mobile lanciata perpendicolarmente alla vettura alla velocità di 32 km/h per simulare un impatto laterale come, ad esempio, quello di un’auto che - in condizioni reali di impiego - sbanda e finisce contro un albero o un palo della luce.

La protagonista della prova è una Volvo XC40 e il teatro della scena sono le sale interne del Centro Sicurezza di Torslanda.

A causa del carico molto localizzato delle forze generate dall’impatto è possibile, con questo tipo di simulazione, valutare la deformazione della scocca e le conseguenze sugli occupanti.



Far cadere un’auto nuova da 30 metri, con l’aiuto di una gru, per aiutare i soccorritori a migliorare le tecniche di salvataggio: è il crash test più estremo mai realizzato dalla Volvo, e ha qui come cavia una Volvo XC40 (ma sono dieci le vetture utilizzate, di vari modelli).

I danni sono quelli che si riscontrano nelle situazioni più gravi: un’auto che esce di strada a elevata velocità, che collide con un camion o che viene urtata violentemente su un lato. In casi come questi è fondamentale che l’estricazione (cioè la liberazione degli occupanti) avvenga entro un’ora.

Sin qui i veicoli usati per l’addestramento erano recuperati dai demolitori. Il fatto che la Volvo metta a disposizione auto nuove permette agli specialisti del soccorso di aggiornare di conseguenza i loro protocolli di intervento.



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