Una grande famiglia

Le sw full-size

Pochi generi di vettura sono così Volvo come le station wagon. Una panoramica di quelle di maggiori dimensioni

Dopo avere debuttato nel campo delle station wagon nel 1953 con la Duett, nel 1962 la Volvo fa il colpo grosso presentando la versione con tetto allungato e portellone della Amazon.

Rispetto alla Duett è cambiato tutto: la scocca è autoportante, l’aspetto essenziale ha lasciato il posto a un profilo da elegante giardinetta, le porte sono cinque e dietro, invece delle due piccole aperture a battente, ci sono un lunotto sollevabile verso l’alto e una ribaltina che si apre verso il basso, con i rostri dei paraurti tagliati e rivestiti in gomma per sostenerla quando la si abbassa.

Con un vano di carico lungo 1 metro e 83, largo 1 e 26 e alto 80 cm, ha una portata di 490 kg. Resta in produzione fino al 1969.



Nel solco tracciato della Amazon si colloca, nel 1967, la Volvo 145, variante station wagon delle berline 142 e 144. Qui il portellone è in un unico pezzo e “risale" per alcuni centimetri sul bordo d’uscita del tetto: una soluzione che, assieme alle cerniere esterne, aumenta l’angolo di apertura così da non sbattere con la testa durante lo stivaggio dei bagagli.

Sotto il piano di carico c’è un doppio fondo che funge da capace cantinetta oppure dissimula la presenza di uno strapuntino contromarcia per due bambini. Insomma, volendo è una sette posti.

Rispetto alla Amazon crescono ingombro esterno (da 4,46 a 4,64 metri) e lunghezza del piano di carico, qui di 1 metro e 88 a divano reclinato, per 2,15 metri cubi di carico complessivo e 550 kg di portata. Sarà costruita sino al 1974.



All’apparenza un restyling della Serie 140, la Volvo Serie 200, che rimane sulla scena quasi vent’anni, dal 1974 al 1993 — indice di un apprezzamento veramente duraturo da parte del pubblico — è in realtà una vettura profondamente diversa.

Cambiano le sospensioni, con un avantreno McPherson, e debutta il nuovo motore B21 ad albero a camme in testa; i paraurti ad assorbimento di energia arrivano dal prototipo sperimentale VESC. A proposito di motori: con la 245 (che diventa 240 dal 1982) debuttano il Turbo e il Diesel. E su alcuni mercati, con la 265, c’è anche un sei cilindri a V a sua volta inedito.

Per il mercato italiano la Serie 200 Wagon è sinonimo di Polar, la versione speciale di fine serie che piacque così tanto che rimase un classico nella gamma.

Non esiste passaggio generazionale di cui alla Volvo non approfittino per fare consistenti passi avanti sul piano della funzionalità.

Con la station wagon della Serie 700 (1985-1990), poi evoluta nella Serie 900/V90 (1990-1998) arrivano il divano frazionabile 2/3-1/3, le bocchette di climatizzazione per gli occupanti dei posti dietro e il portellone in alluminio, molto più leggero da movimentare rispetto a uno costruito in acciaio.

La linea di cintura straordinariamente bassa rende l’abitacolo luminoso e facilita le manovre di parcheggio anche nei punti ciechi della tre quarti posteriore. Il piano di carico è lungo 1,82 metri, con un volume di 2,12 m2 e 552 kg di portata. Sino a 2.120 litri il suo volume utile a divano interamente ripiegato.



Se la Serie 700-900 è stata una fantastica affinatrice di concetti tecnici tipici del marchio, la Volvo 850 SW/V70 (1992-2000) ha ridisegnato ogni aspetto, tecnologico e strutturale, della vettura.

È stata la prima grande Volvo con motore trasversale e trazione anteriore e ha portato al debutto i propulsori a cinque cilindri, più compatti di un sei in linea ma più “pieni”; all’iniziale versione GLT a 20 valvole (nella foto) sono seguite sia quelle destinate a una clientela più attenta al budget (la GLE a 10 valvole) sia varianti molto sportive, come la T-5 R da 211 cavalli.

Che ha messo insieme in un’unica auto tre anime: la versatilità, la sicurezza e un’autentica grinta. Debutta anche, con la 850 SW, in prima mondiale, il gruppo ottico posteriore a tutta altezza. Una rivista italiana titola: “Il portellone è tra parentesi”. Immagine efficacissima.



Millennio nuovo, station wagon nuova. La denominazione V70 ha già contraddistinto l’ultima serie della 850 e viene ripresa, per un fatto di continuità, su un modello in realtà completamente diverso.

La V70 seconda serie, che riprende dall’ammiraglia S80 lo “shoulder”, ovvero la svasatura sul fianco, abbraccia l’era del’infotainment con uno scenografico display centrale a scomparsa sulla sommità della plancia. Il pianale P2, interamente inedito, accoglie il D5, primo motore turboDiesel interamente progettato e costruito dalla Volvo: un cinque cilindri common rail completamente in alluminio.

A fine 2007 la terza generazione della V70 aggiorna ulteriormente i contenuti su una diversa carrozzeria, con gruppi ottici posteriori più larghi nella parte inferiore.

L’attualità della station wagon full-size Volvo è la V90, apparsa nel 2016.

Che sposta verso un piano decisamente più dinamico le sue credenziali estetiche, particolarmente accentuate in questo esemplare in allestimento R-Design Studio. I tempi cambiano e la Volvo li anticipa: una nuova piattaforma globale, la Spa, e un powertrain tutto costruito intorno a motori a quattro cilindri di due litri la cui potenza varia (e di parecchio) a seconda del grado di elettrificazione che coopera con l’unità termica.

Dietro, invece delle convenzionali molle elicoidali, c’è un retrotreno il cui elemento elastico è rappresentato da una balestra trasversale in materiali compositi che permette di risparmiare spazio, lasciandone di più al vano di carico. Insomma, i tempi mutano ma la funzionalità rimane sempre al primo posto.



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